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Claudio Castelli: “Digitalizzare la giustizia significa anche investire su banche dati trasparenti”

Per rendere davvero efficiente il sistema giustizia in Italia non servono grandi riforme, ma si deve lavorare su tre ambiti principali: le persone e le loro competenze, attraverso l’aggiornamento delle professionalità che già abbiamo; la digitalizzazione, che deve permeare tutti i settori con un’attenzione particolare allo sviluppo di banche dati giurisprudenziali ragionate e trasparenti; i poli territoriali, in cui incentivare responsabilità e autonomia, strumenti fondamentali e non antitetici, bensì sinergici, rispetto al centro. Questa la visione che emerge dall’intervista di Gianni Dominici a Claudio Castelli, Presidente della Corte di Appello di Brescia, il cui distretto è formato dai circondari dei 4 Tribunali ordinari di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova. Si tratta di uno dei territori più colpiti dalla pandemia, ma nonostante questo le udienze sono riprese al cento per cento, utilizzando modalità alternative come il lavoro da remoto.

Claudio Castelli è inoltre tra i contributori del documento “Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia e il suo futuro” uscito nel febbraio scorso. Il documento, come si legge nell’introduzione, è stato redatto perché  “un gruppo di operatori ed esperti esterni della giustizia italiana, magistrati, dirigenti di uffici giudiziari, avvocati, docenti universitari, esperti di digitalizzazione ed esperti di organizzazione dei servizi pubblici, ha condiviso la necessità e l’urgenza di sviluppare una visione strategica e soluzioni non settoriali per trasformare la giustizia da ostacolo a leva positiva per supportare la rinascita del Paese”.

“Di fronte all’emergenza ci siamo resi conto di una serie di limiti, primo fra tutti una digitalizzazione ancora carente – spiega Castelli – anche se abbiamo un processo civile telematico che funziona e viene portato ad esempio in tutta Europa, abbiamo riscontrato un livello di digitalizzazione ancora molto limitato ed evidenti problemi di governance, per cui siamo totalmente dipendenti da situazioni centralizzate, in particolare nel settore della giustizia. Abbiamo cominciato quindi a ragionare su una ripartenza che non fosse un semplice ritorno al preesistente e abbiamo sviluppato, ovviamente da remoto, una serie di gruppi di lavoro. Alla fine sono emersi quattro grandi caposaldi: investire sul capitale umano che già abbiamo, supportando il cambiamento delle professionalità; promuovere la digitalizzazione, con un occhio particolare alla creazione di banche dati di giurisprudenza e alle possibilità che apre l’utilizzo dell’intelligenza artificiale; rivedere la governance, mantenendo la centralità e la centralizzazione di ministero e CSM, ma puntando anche sui poli territoriali. Infine proponiamo un rito che sia davvero telematico, oggi cerchiamo ancora di adeguare la realtà telematica a un codice basato sulla carta e questo non è più possibile”.

Castelli si sofferma in particolare sull’importanza di creare banche dati della giurisprudenza, che consentano di estrarre informazione e valore anche per i cittadini, quindi banche dati che siano comprensibili ai non addetti ai lavori e che diventino così un grande strumento di trasparenza e democrazia.

Infine, un passaggio sul tema della sostenibilità, ipotizzando la creazione di sportelli di prossimità nei comuni o nei posti più significativi e prospettando il ripensamento dei palazzi di giustizia sulla base del fatto che sempre più persone saranno in smart working.

L'articolo Claudio Castelli: “Digitalizzare la giustizia significa anche investire su banche dati trasparenti” proviene da FPA.

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