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Il valore dei dati: cosa possiamo imparare da questa emergenza

I dati pubblici non sono più un tema per addetti ai lavori, l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo da oltre un anno ha sdoganato definitivamente la riflessione sul loro valore e sull’impatto che hanno sulla vita di ognuno di noi. Del resto, quando ci si trova a leggere quotidianamente numeri e statistiche legate a un tema così delicato, la sensibilità aumenta necessariamente e si capisce immediatamente cosa può comportare, al contrario, una lettura o una comunicazione errata (o peggio ancora, irregolare) di questi dati.

Un esempio attuale è la presunta falsificazione dei dati relativi al numero dei positivi e dei tamponi, e a volte anche a quello dei decessi per Covid-19, forniti all’Istituto Superiore di Sanità da parte di alcuni appartenenti al Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (Dasoe) dell’Assessorato della Salute della Regione Siciliana. Senza entrare nel merito della vicenda giudiziaria (c’è un’indagine aperta della magistratura su queste presunte falsificazioni), la comunità Open Data Sicilia sottolinea che da oltre un anno venivano segnalate incongruenze su questi dati, che sono fondamentali perché portano a decidere quali sono le restrizioni da applicare nel territorio in questione. Questa vicenda è stata lo spunto per ribadire, proprio da parte della comunità Open Data Sicilia che, come recita anche il Piano triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2020-2022, i dati pubblici sono un bene comune e “il patrimonio informativo della pubblica amministrazione è un bene fondamentale per lo sviluppo del Paese e deve essere valorizzato e reso disponibile ai cittadini e alle imprese, in forma aperta e interoperabile”. Invece, troppo spesso le istituzioni non si mostrano ancora disponibili a sposare questo approccio.

Tuttavia nell’ultimo anno qualcosa è cambiato, come dicevamo all’inizio. Un esempio? La campagna #datibenecomune, lanciata nel novembre scorso per chiedere al Governo italiano di pubblicare in maniera aperta i dati sulla gestione della pandemia di COVID-19, che ha visto un crescente interesse da parte di cittadini e cittadine, enti del terzo settore, centri di ricerca, aziende, molte redazioni giornalistiche. Al momento sono 195 le organizzazioni che sostengono la campagna (e circa 50mila i firmatari) ed è cresciuto anche l’interesse da parte di politici, soprattutto parlamentari. Tra le associazioni promotrici della campagna c’è proprio Open Data Sicilia che il 17 aprile terrà il suo raduno annuale (evento in modalità digitale e gratuito): un’occasione importante per riprendere queste riflessioni. Il programma della giornata è online e il tema guida sarà “il valore dei dati”: i dati come fonte di conoscenza, curiosità, entusiasmo.

“Vogliamo parlare anche del lato bello dei dati, senza cadere nel circolo vizioso di sottolineare solo ciò che non funziona. Tante cose sono comunque migliorate nell’ultimo anno, già il fatto che si parli tanto di dati è un aspetto positivo”, sottolinea Paola Masuzzo, ricercatrice indipendente presso IGDORE (Institute for Globally Distributed Open Research and Education), socia onData, Data Scientist e attivista Open Science, che fa parte della community Open Data Sicilia. È stata proprio lei a lanciare l’idea per il tema del raduno di quest’anno, che ha poi preso piena forma assieme alla comunità tutta, e con lei proviamo a capire quali sono i maggiori cambiamenti avvenuti negli ultimi mesi.

Il primo focus è sul tema della comunicazione. “Molte testate giornalistiche stanno cambiando approccio e vanno verso il data journalism e il giornalismo di precisione. Alcune realtà emergono, come quella de il Post e lì si vedono le prime vere collaborazioni tra giornalisti e persone, enti o associazioni che si occupano di apertura dei dati. La domanda in questi casi è – come faccio a pubblicare un dato online con una licenza e un formato appropriato, in modo che chi legge possa comprenderlo e se vuole anche riutilizzarlo? Anche alcuni grandi giornali stanno cominciando a lavorare con questo approccio, per esempio il Sole 24 Ore. In altri paesi, europei e non, queste collaborazioni sono più mature, ma anche in Italia ci arriveremo, ci sono già begli esempi. Non a caso l’evento verrà aperto da Isaia Invernizzi, che racconterà in un keynote come la sua esperienza con i dati della pandemia lo abbia portato anche a costruire storie che diventano più umane, perché più veritiere e precise. Fare giornalismo ‘lento’ paga, perché abbiamo tutti bisogno di non essere più tramortiti dalle informazioni, come invece è avvenuto in questo periodo, e i cittadini e le cittadine vogliono capire cosa significano i dati e come leggerli”.

Un secondo aspetto di novità è la maggiore attenzione alle questioni più tecniche: cosa vuol dire dato aperto? “E’ parte del focus della campagna #datiBeneComune. La conversazione si sta focalizzando su cosa vuol dire effettivamente dato aperto, che è un dato in un certo formato, interoperabile, con una certa licenza”. Altro tema quello delle competenze: “Abbiamo le competenze adatte per lavorare con i dati aperti? All’interno della pubblica amministrazione sta diventando sempre più pressante l’esigenza di colmare con la formazione questo vuoto professionale. Dobbiamo farlo non solo per costruire una democrazia fondata sulla trasparenza e sul dialogo, sull’apertura (l’open government non è solo un sogno), ma anche per adeguarci alle direttive europee”.

Il valore del dato aperto, quindi, sarà il tema del raduno che si terrà il 17 aprile a partire dalle ore 9,30 e per l’intera giornata: valore educativo (per combattere disinformazione e fake news); valore informativo, decisionale e democratico (anche per favorire un rapporto di fiducia tra PA e cittadini); valore umano (per vedere cosa c’è dietro i numeri); valore economico (open innovation); valore educativo e ricreativo (perché i dati sono anche divertenti!).

“In questo momento la lente di ingrandimento è focalizzata su numeri e dashboard relative alle percentuali del contagio – conclude Paola Masuzzo – ma è anche il momento per capire quante cose belle per la società si possono fare con i dati. La parola chiave non è più solo aprire i dati, ma capire come vengono raccolti, se sono raccolti in modo equo, come si leggono, di cosa parlano, e che valore ci possono portare”.

Se volete partecipare al raduno di Open Data Sicilia (che ricordiamo è gratuito) potete iscrivervi qui

L'articolo Il valore dei dati: cosa possiamo imparare da questa emergenza proviene da FPA.

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