Quello del vitalizio ai parlamentari per lungo tempo è stato un tema al centro del dibattito politico e soprattutto della propaganda dei partiti, determinando la fortuna di alcuni di questi, quelli che in particolare chiedevano un loro ridimensionamento o abolizione.
Niente vitalizio ai parlamentari condannati
Recentemente è tornato in auge per l’annullamento, da parte della Commissione Contenzioso del Senato, della sospensione del vitalizio ai parlamentari condannati in via definitiva. È stata ribaltata una delibera del 2015 e di conseguenza saranno ristabiliti gli assegni di alcuni esponenti piuttosto celebri della politica italiana come gli ex governatori Roberto Formigoni e Ottaviano Del Turco, che oltre ad avere guidato Lombardia e Abruzzo erano stati anche parlamentari, prima di essere condannati. Questa decisione ha creato molte discussioni, ma non va a cambiare la disciplina sul trattamento economico degli ex deputati e senatori, né, se non per una quota ridotta, l’ammontare pagato da Camera e Senato a chi si è seduto sugli scranni delle due aule e ora non è più in carica.
Quanti sono i vitalizi parlamentari
La spesa per il pagamento del vitalizio ai parlamentari e delle pensioni, come si vede dalla nostra infografica, è complessivamente di 135,5 milioni l’anno, secondo gli ultimi bilancio della Camera e del Senato che si riferiscono, rispettivamente, agli anni 2020 e 2019. Con il Senato in ritardo nell’elaborazione di un budget. In particolare la Camera ha previsto che la spesa del 2020 sarebbe stata di 86 milioni, mentre per il Senato nel 2019 l’esborso totale sarebbe ammontato a 49,5 milioni. Li abbiamo messi insieme in assenza di un dato più recente per Palazzo Madama. Anche in questo caso come nelle pensioni comuni vi sono gli assegni diretti e le reversibilità pagate ai coniugi.
Il pagamento delle pensioni di reversibilità
Incluse in queste cifre, oltre alle spese per il pagamento delle pensioni e vitalizi per la Camera, ci sono anche quelle sostenute per rimborsare il Senato per gli assegni versati da esso a ex senatori che erano in realtà stati anche deputati. E viceversa il Senato rimborsa la Camera per quelle mensilità di ex deputati che erano stati anche senatori. Quello che spicca subito è questa distinzione tra vitalizi e pensioni, che in molti forse credono sinonimi. In realtà si intende per vitalizi gli assegni versati a coloro che avevano maturato un diritto pensionistico prima della riforma Monti del 2012. Mentre per pensioni quelle percepite da chi riceve un assegno per il servizio successivo a questa riforma.
I privilegi precedenti e il sistema attuale
Il 2012 infatti è stato uno spartiacque in questo tema. Fu deciso il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo anche per gli ex parlamentari. In precedenza gli ex senatori e gli ex deputati ricevevano un vitalizio, a partire dai 65 anni, e solo in caso di servizio di almeno 4 anni e 6 mesi, che oscillava tra il 20% e il 60% dell’indennità parlamentare. Il 60% si raggiungeva in caso di un’attività di almeno 15 anni.
La riforma per risparmiare sul vitalizio ai parlamentari
Già negli anni precedenza vi erano state riforme tese a diminuire la spesa pensionistica e i privilegi. Prima del 2007 infatti i vitalizi parlamentari potevano arrivare all’80% dello stipendio per chi era stato deputato o senatore per 30 anni. E bastava metà legislatura perché scattassero. E prima del 1997 era sufficiente un solo giorno, e l’età in cui si cominciava a percepirli era 60 anni.
Era stato nel 1954 che i vitalizi agli ex parlamentari erano stati introdotti, per lo stesso principio per cui era stato deciso il pagamento di un emolumento a deputati e senatori. Ovvero per consentire a chi non fosse munito di rendite e grandi patrimoni di rappresentare i cittadini, magari abbandonando il proprio lavoro.
L’arrivo del sistema contributivo anche per gli onorevoli
Ma con il passaggio per tutti i lavoratori al sistema pensionistico contributivo si è ritenuto che fosse ingiusto mantenere un sistema privilegiato per i politici, che già ricevevano uno stipendio molto elevato rispetto a quello medio. Dal 2012 il sistema in vigore prevede che l’ex parlamentare a partire dai 65 anni possa cominciare a percepire un assegno pensionistico in proporzione ai contributi versati. Ma l’età della pensione scende a 60 anni se i mandati sono stati due. Ed è necessario che si sia servito per 5 anni. Anche per questo secondo i più maliziosi di elezioni anticipate nelle ultime legislature, dal 2008 in poi, non se ne sono viste. Questo rimane tra l’altro un privilegio rispetto agli altri lavoratori, visto che la pensione di vecchiaia in generale scatta ora a 67 anni.
Dal 2018 il contributivo anche al vitalizio ai parlamentari
Chiaramente la riforma non è stata retroattiva. E coloro che sono stati deputati e senatori prima del 2012 continueranno a percepire un vitalizio. Che eventualmente sommano a una pensione per il periodo successivo alla riforma. Vitalizio per l’ex parlamentare che però il Parlamento ha ridotto nel 2018 grazie al provvedimento che ha deciso un ricalcolo con il sistema contributivo anche degli assegni relativi ai mandati precedenti al 2012, e che ha portato a una riduzione della gran parte degli emolumenti. In sostanza possiamo dire che rispetto agli scorsi decenni si paga sempre meno per ex deputati ed ex senatori. E meno si pagherà in futuro in seguito alla riduzione del loro numero deciso nel 2020.
I dati si riferiscono al: 2019 e 2020
Fonte: Camera die Deputati e Senato della Repubblica
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