Il summus ius può diventare una summa iniuria quando dall’applicazione delle leggi deriva una forte ingiustizia. E’ esattamente quanto accaduto nella vicenda del Polo Strategico Nazionale. Un piano di finanza di progetto con una forte discrezionalità amministrativa, che ha visto un primo aggiudicatario vedersi sottrarre la vittoria sulla base di una stravagante legge di prelazione. O meglio, da un’applicazione diabolica dell’istituto della prelazione e segnatamente laddove non ha tenuto conto degli elementi di bilanciamento. E’ li che nasce l’ingiustizia.
Il compianto professore Stefano Rodotà aveva teorizzato la teoria del terribile diritto, nel suo libro “Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni” (1996). L’indimenticato accademico teorizzò che il diritto, in quanto strumento di regolazione della vita sociale, può assumere un carattere “terribile” quando viene utilizzato per scopi di oppressione e di esclusione. In particolare, il diritto di proprietà, se non è adeguatamente bilanciato con altri diritti, può diventare un potente strumento di accumulazione di ricchezza e di potere da parte di pochi, a discapito dei più.
Ed è proprio quello che è accaduto. Un sistema come quello della Partecipazione Pubblico Privata che ha trovato pochi precedenti in Italia, è stato l’innesco di un tormentato percorso di litigio giudiziario. Forse è per questo che abbiamo visto i giudici del Consiglio di Stato impegnatissimi a spiegare non già le norme sottese dalla fattispecie, quanto la loro corretta interpretazione. Il giudice amministrativo ha dovuto infatti sostenere 90 pagine di dottrina giuridica, motivando responsabilmente le ragioni sottese dall’interpretazione per una corretta applicazione delle norme. In una rapida sequenza avvolta da un linguaggio tecnico si leggono frammenti di:
1) teoria dell’interpretazione giuridica, laddove si indaga sull’applicazione della legge speciale su quella generale, di quella eccezionale e delle antinomie che va a risolvere.
2) teoria della diritto alla difesa, che non può essere limitato in ragione di una presupposizione, di un adeguamento che non c’è stato perchè il procedimento non si era ancora concluso e con esso nemmeno l’interesse ad agire.
3) teoria dell’eccesso di potere, laddove un’amministrazione proceda in via di negoziazione diretta superando le regole della gara e perfino contro l’auto-interpretazione da essa stessa fornita.
4) teoria dell’eccesso di difesa, laddove si cerca di superare il petitum con un atto aggiuntivo che grava a monte sulla richiesta a valle e la contraddice.
5) un’infinità di brocardi latini che sono studiati all’univesità e mai più visti come certi cartelli stradali che si trovano nel manuale per la patente automobilistica e non si incontrano quasi mai per strada.
Ecco: lo sforzo di ricondurre nell’alveo della legalità un’aggiudicazione illegittima che ha prodotto un danno, ci permette oggi di parlare di una prevalenza del diritto sulla giustizia. Un terribile diritto appunto. Quello che ti da ragione ma perdi. Che vinci ma non ti aggiudichi la gara. Che hai diritto ad un risarcimento ma proprio tu non ce l’hai perchè sei grande. Potevi impiegare le risorse altrove.
Diceva un illustre politico: “non basta avere ragione, devi trovare anche qualcuno che te la dia”. L’effettività del diritto ci dice che esiste una norma e che si applica a una fattispecie astratta. Ma l’effettività della tutela giurisdizionale invece, è una garanzia anche per l’Ordinamento affinchè la norma sia applicata alla precisa fattispecie concreta e non ad altre, ma solo a quella che si ritrova nella fattispecie astratta.
E con questo non si intende in alcun modo criticare il lavoro dei giudici amministrativi, che è stato eccellente sotto ogni punto di vista. Ma ci domandiamo: “E’ la giustizia nomofilattica – anch’essa richiamata nella sentenza – quella che ama più il diritto della giustizia?”.
Perchè finora, la lettura integrale della sentenza può risultare entusiasmante solo per i cultori del diritto amministrativo, del diritto pubblico, del diritto della concorrenza, del diritto europeo. Ma è un terribile diritto. Vediamo allora perchè.
Si parte subito con la procedura amministrativa, le gare, la partecipazione delle in house ed il “vantaggio competitivo”. Si sale di livello con l’esercizio del “diritto di difesa” (costituzionale). Si scende nel dettaglio dei punti che il Consiglio di Stato non può più sindacare perché di competenza della “prima cura”, ovvero il TAR. Scopriamo anche la “consumazione dei mezzi di impugnazione”. E poi è tutto un crescendo di teoria dell’interpretazione con l’analisi delle “antinomie e la gerarchia assiologica”.
Un’enorme esplosione ci porta sul finale e sul mancato ricorso alla “Corte Europea che non interpreta il diritto interno”. E per finire ben tre lampi di luce sul danno, sulla sua quantificazione e sulle prove. Un lampeggiare di brocardi latini. La “nomofilia” e la giurisprudenza nomofilattica.
Effettivamente la sentenza è un prodotto giuridico eccellente sotto ogni punto di vista. Ma esaurita la fase di frenesia giuridica, resta agli atti che abbiamo affidato il Polo Strategico Nazionale ad una compagine che non aveva diritto, ovvero che avrebbe avuto diritto di prelazione, ma non l’aveva nei fatti perché non ha prodotto la medesima offerta. Eccesso di potere. Eccesso di difesa.
Ora che l’insuccesso ci ha dato alla testa, ora che “il bene della vita” è compiuto (così sta scritto), ora che abbiamo PSN, pensiamo a come far crescere un ecosistema di cloud nazionale per la PA e per i privati che sia meglio di quello che è emerso dalle carte della lite. Lo dobbiamo a Rodotà ed al suo insegnamento, perchè questo è il bene comune.
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