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Paura delle telefonate? Il tramonto della chiamata vocale

Che paura, il telefono. Almeno quando è utilizzato per fare ciò che dovrebbe essere il suo scopo originario: telefonare, appunto. La cosiddetta “telefobia” – neologismo che farebbe arrossire più di un grecista, ma sorvoliamo – è un fenomeno in crescita tra i giovani, come hanno dimostrato diversi recenti studi e sondaggi, e non è troppo difficile capire il perché, nel mondo delle chat WhatsApp per qualsiasi cosa e dei messaggi diretti tramite i social.

I ragazzi preferiscono Whatsapp

Secondo la Robert Walters, azienda di reclutamento a livello globale, la generazione Z (cioè i nati tra il 1997 e il 2012) e i millennial (tra il 1981 e il 1996) preferiscono di gran lunga comunicare tramite email e messaggistica istantanea quando sono al lavoro, per una percentuale complessiva del 59%. La metà, invece, si dice “a disagio” quando deve fare una telefonata di lavoro. Solo il 16% delle generazioni più giovani considera le chiamate via telefono – tanto che il termine call, oggi, significa altro – un uso efficace del tempo, e il 14% le utilizza come mezzo preferenziale di comunicazione. D’altro canto, il 49% della generazione X (nati tra il 1965 e il 1980) e dei baby boomer (tra il 1946 e il 1964) è convinto che fare meno telefonate sarebbe deleterio per le proprie relazioni d’affari.

Telefonare crea ansia

In base a un’altra indagine condotta in Australia nel 2023, solo uno su dieci giovani tra i 18 e i 26 anni preferisce parlare al telefono con familiari e amici, mentre il 49% dei più di mille intervistati ha ammesso che fare o ricevere una chiamata genera la malattia di questi tempi, e cioè l’ansia. Un dato che è indicativo di un cambiamento radicale nelle abitudini comunicative dei giovani, sempre più spesso più inclini a preferire le interazioni mediate da testo, come i messaggi o le email, rispetto alla comunicazione verbale diretta. Non è del resto un caso che oggi la partita tra le offerte di telefonia mobile non si giochi tanto sui minuti di conversazione inclusi (illimitati quasi per tutti, come si può vedere dal comparatore di SOSTariffe.it), ma sui gigabyte di traffico Internet offerti.

Un mondo in cui non ci si parla più (in sicronia)

Ovviamente la tendenza è globale. Dai più giovani le chiamate vocali sono percepite come intrusive, imprevedibili e stressanti, poiché richiedono una risposta immediata e non consentono il tempo per formulare una risposta ponderata. Insomma, è questione di abitudine, per chi ogni giorno scrive, più che parlare: ma l’ansia da telefonata può anche compromettere le opportunità professionali dei giovani. In molti contesti lavorativi, la capacità di condurre conversazioni telefoniche efficaci è fondamentale per costruire relazioni, negoziare e risolvere problemi in modo rapido, e così la riluttanza a usare il telefono può rappresentare un ostacolo significativo per la carriera in quei settori dove la comunicazione verbale è cruciale.

Si tratta inoltre di una situazione che non è relativa solo agli ultimi anni, perché una ricerca del Pew Research Centre del 2012 aveva già mostrato che il tipico teenager americano tra i 12 e i 17 anni inviava in media 60 messaggi al giorno con il proprio telefono rispetto ai 50 del 2009, mentre il 26% sentiva i propri amici con una chiamata vocale, in discesa dal 38% di soli tre anni prima. Le motivazioni date dai vari intervistati su questo gap generazionale variano: quelli più avanti con gli anni in diversi casi non si trovano a proprio agio con le lettere minuscole delle tastiere digitali e non hanno la pratica quasi naturale dei più giovani, un po’ come la pronuncia di una lingua straniera si apprende alla perfezione solo se la si parla fin da piccoli.

Manager che non telefonano? Meno efficaci

C’è però un problema di perdita di competenze lavorative – per un manager telefonare, e avere un riscontro immediato invece di accettare l’asincronia di una comunicazione testuale, è fondamentale ancora oggi – che è sempre più avvertito, tanto che alcune università hanno cominciato a tenere dei corsi specifici per insegnare agli studenti come gestire le telefonate in un contesto professionale, come la Murdoch University in Australia. Il problema è proprio a livello di cultura corporate, e può essere la causa di diverse incomprensioni e, peggio ancora, di valutazioni affrettate delle qualità di un candidato o di un dipendente: le generazioni più anziane tendono a considerare la mancanza di comunicazione verbale diretta come un segno di inefficienza o di mancanza di competenze, mentre i più giovani vedono la comunicazione scritta come una modalità più controllata e meno invasiva per gestire le interazioni. Per risolvere queste problematiche, molte aziende stanno implementando programmi di formazione e mentorship intergenerazionale, volti a promuovere una migliore comprensione delle preferenze comunicative. Questi programmi mirano a costruire team più coesi e a migliorare l’efficacia complessiva della comunicazione all’interno delle organizzazioni, ma che hanno un nemico formidabile da battere: il fastidio che tutti proviamo quando sentiamo trillare, sempre più raramente, il nostro dispositivo.

A chi è che non si risponde al telefono?

Forse le risposte più interessanti possono arrivare non dai giovanissimi o dai più maturi, ma da uno studio della generazione di mezzo, ovvero i millennial, che hanno avuto a che fare con versioni primitive della messaggistica moderna fin da teenager e quando erano bambini o adolescenti hanno vissuto la transizione dai vecchi cellulari ai moderni smartphone. Una ricerca di Bankmycell ha indagato le motivazioni della mancata risposta: il 75% indica il troppo consumo di tempo, il 64% perché chi chiama è uno scocciatore, il 55% per evitare di partecipare a qualche evento, il 49% perché chi chiama vuole un favore, il 46% perché non vuole litigare, il 41% perché c’è gente intorno che può ascoltare la conversazione e il 37% per evitare responsabilità lavorative. Ma ce n’è anche per le scuse più utilizzate per ignorare la chiamata: per il 63%, l’intramontabile “non ho sentito la suoneria o la vibrazione”, il 12% messo alle strette sostiene che “non c’era abbastanza campo”, il 9% era in riunione, il 6% guidava, il 5% non riusciva più a trovare il telefono, il 4% aveva il telefono rotto e l’1% non aveva riconosciuto il numero (giustificazione sempre meno utilizzata, man mano che aumentano le persone che scelgono l’opzione sulle loro impostazioni per ignorare le chiamate da numeri sconosciuti). A essere evitati sono soprattutto gli amici (nel 29% dei casi), i parenti (25%), colleghi di lavoro (21%), il proprio capo (14%) o il partner (11%).

Fonti: https://www.newsweek.com/how-phone-anxiety-divides-generations-1898877

https://www.bankmycell.com/blog/why-millennials-ignore-calls

https://www.pewresearch.org/social-trends/2015/05/21/6-keeping-in-touch-across-generations

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