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PNRR perché vanno calcolati gli impatti sociali (e non lo stiamo facendo)

IFEL, la Fondazione di ANCI che supporta i Comuni sui temi della finanza e dell’economia locale, ha voluto offrire un punto di vista diverso sul PNRR: una riflessione sull’approccio e sull’operato della PA come conferitore di opportunità e, in questo senso, come investitore Per questo servono nuovi paradigmi di lavoro, scardinare le consuetudini, dare maggior valore alle possibilità che il PNRR e le risorse della nuova programmazione, hanno messo a disposizione dei territori e dei cittadini.

Nell’ambito del recente FORUM PA 2023Luigi Corvo, Docente dell’Università Milano Bicocca e co-fondatore di Open Impact, Federico Sartori, Fondazione IFEL, e Maria Teresa Massi, Comune di San Benedetto del Tronto, sono stati guidati da Annalisa Gramigna, della Fondazione IFEL, nella costruzione di una nuova narrazione del PNRR, basata sugli effetti diretti dell’uso delle ingenti risorse a disposizione della PA e sui vantaggi potenziali da generare. Non solo rendicontazione economico-finanziaria e non solo criticità, dunque: prendendo lo sguardo dei cittadini e delle città si aprono diverse riflessioni sul PNRR e sui cambiamenti utili a generare gli importanti cambiamenti che sono la ragione stessa del PNRR.

Perché misurare gli impatti del PNRR insieme al raggiungimento degli obiettivi

“Il PNRR nasce da una strategia dal nome evocativo: Next Generation EU; è una strategia che per sua natura tendente alla trasformazione. Nonostante questa evidenza, invece, il PNRR pone al centro il concetto di recovery (Recovery Fund) cioè di azione conservativa. La differenza è sostanziale: la Next Generation, orientandosi al cambiamento, mette in discussione anche il processo attraverso il quale ottenere il cambiamento stesso, concentrandosi sull’amministrazione condivisa e su forme partenariali tra pubblico e privati. Non è una strategia come quella del recovery che si concentra solo sulle verifiche di natura amministrativo-contabile”, spiega Luigi Corvo, enfatizzando la necessità di recuperare il senso del cambiamento che stiamo generando, senza ridurre la portata del PNRR alla sola contabilità delle risorse spese: perché spendiamo è dunque il focus e non solo il come stiamo spendendo.

Il primo spunto di riflessione, dunque, si riferisce al significato che il PNRR ha per la PA e soprattutto per la cittadinanza e per i territori. “Dal punto di vista dei cittadini il tema contabile non è un tema: la correttezza dell’impiego delle risorse è un prerequisito dell’attività della PA per la realizzazione di politiche trasformative e generative. Si spende correttamente come elemento prepolitico, per fare delle politiche pubbliche. La PA, invece, è costretta a far fronte alla mancanza di fiducia da parte del soggetto erogatore, concentrando tutte le energie sulle modalità di spesa, di certificare e di rendicontare, ecc… E senza alternative: o spendiamo o perdiamo le risorse. Le politiche di trasformazione possono essere così rigide e meccanicistiche?” si interroga Corvo.

Questo divario semantico tra PA e cittadini: “E’ uno degli elementi critici che le future generazioni di politiche pubbliche dovranno superare”, ha proseguito Corvo. “Forme di partenariato pubblico/privato, formule di amministrazione condivisa e/o di convergenza di risorse e investimenti che vengono dal pubblico e privato, devono essere misurate in unità di risultato e di impatto ottenuto e non di verifiche amministrativo/contabili”.

Tuttavia, le regole sono fondamentali, soprattutto per prevenire gli impatti negativi dei progetti realizzati. Il DNSH è un buon esempio di strumento utile alle Amministrazioni titolari delle misure PNRR e ai soggetti attuatori. La Guida operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente, cd. DNSH, fornisce indicazioni sui requisiti tassonomici, sulla normativa corrispondente e sugli elementi utili per documentare il rispetto dei requisiti DNSH.

I principi del DNSH e i relativi impatti sociali

Uno degli ambiti in cui è fondamentale generare impatti positivi è l’ambiente. Il cambiamento climatico, infatti, è responsabile di danni incalcolabili e, per far fronte a uno dei più drammatici e urgenti problemi che ricadono sulla cittadinanza e i territori, l’Unione Europea ha formulato la strategia Green Deal. Per orientare le politiche pubbliche verso la sostenibilità è stato introdotto il principio di “non arrecare danno significativo all’ambiente” (cd. DNSH).

“Il DNSH è un principio che viene ripreso nel PNRR – ha sottolineato Federico Sartori della fondazione IFEL – e che impone ai soggetti beneficiari di dimostrare che il proprio progetto non arrecherà danno all’ambiente. Il tema è rilevante non solo da un punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. Difatti, la letteratura scientifica mette in evidenza che i cambiamenti climatici generano soprattutto effetti a impatto locale e sociale. Le ricerche evidenziano che gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici riguardano i territori nei quali vivono le classi sociali meno abbienti. Pertanto, le Nazioni Unite stimano che nel 2050 un miliardo e 200 milioni di persone saranno costrette a migrare proprio a causa dei cambiamenti climatici.

Il DNSH, quindi, è fondamentale nella messa a terra dei progetti legati al PNRR, perché mette in condizione il progettista (e soprattutto che finanzia l’opera) di capire se il finanziamento ricevuto sarà sostenibile nel lungo termine e mette in condizione chi finanzia di avere garanzie riguardo gli effetti prodotti da quel finanziamento”.

Gli esempi chiarificatori di questo concetto sono stati portati da Maria Teresa Massi: “Le scelte del settore pubblico, ma anche dei privati, possono avere un impatto molto drammatico sul territorio e sui cittadini se non si fa i conti con l’ambiente e con la natura. Abbiamo compreso che alcune decisioni, come importare le nutrie, per realizzare pellicce a basso costo, o piantare palme meno costose nelle nostre città abbia portato problemi di difficile soluzione (l’invasione dei roditori, la diffusione del punteruolo rosso che ha provocato la morte di tante piante…). E poi i cinghiali nelle città, il problema attuale di convivenza con gli orsi, eccetera. Il DNSH non deve essere vissuto con un adempimento ma come l’occasione di porre l’attenzione sugli effetti delle scelte che operiamo ”.

Oggi, se il progetto relativo al PNRR non rispetta i principi del DNSH non viene finanziato. “Io stessa consideravo ingiusto affrontare i costi relativi al Green Deal – ha aggiunto Massi -Quando è partito il green public procurement, con i criteri ambientali minimi che ci costringevano a spendere il 30-40-50% in più per acquisti ordinari della nostra PA, dalla carta all’energia, consideravo questo costo ingiusto. Il sovrapprezzo non corrispondeva a una aumentata capacità di spesa dell’amministrazione. Per cui si traduceva in una diminuzione della nostra possibilità di erogare servizi. Ma oggi sono convinta che tutti debbano farsi carico di questo approccio”.

PA contributore e non controllore

Dopo anni di grandi austerity le amministrazioni pubbliche hanno ora a disposizione tante risorse. Oltre al PNRR il Paese dispone anche dei Fondi strutturali  2020-2027, quelli del React EU e delle risorse del  Fondo di Sviluppo e Coesione, risorse enormi, che la PA fatica a spendere al 100%. Il principale motivo è la carenza di capacità generativa: il ruolo che le PA si sono date è più simile a quello di un controllore che a quello di un soggetto che contribuisce alla creazione di nuove opportunità.

Esercitare scelte generative significa porsi delle domande molto concrete per esempio: i cittadini riusciranno a muoversi nella “città dei 15’ minuti”? I ragazzi andranno a scuola in strutture sicure e moderne che siano anche più inclusive?

Secondo il parere di Luigi Corvo: “Abbiamo costruito una PA come soggetto controllore della generazione di valore, non come un soggetto contributore. Mettiamo le persone al centro e spieghiamo loro che gli impatti sono più importanti della contabilità. E’ assurdo che in un Paese come il nostro, con molti divari e bisogni sociali, non si riesca ad utilizzare il 100% dei fondi a disposizione. L’impatto sociale, inteso come processo trasformativo e non come ulteriore adempimento, dovrebbe essere un driver di sviluppo e di investimento e non un driver di spesa”.

A confermare un approccio al PNRR non adeguatamente mirato agli impatti sociali, si è aggiunta la testimonianza di Maria Teresa Massi, del Comune di San Benedetto del Tronto: “Ancora non c’è la percezione del potenziale da parte della nostra cittadinanza, perché molti dei nostri progetti non hanno ancora ottenuto i finanziamenti. Difatti, in parte le risorse a nostra disposizione sono state dirottate sulle emergenze legate al terremoto, in parte la documentazione necessaria per accedere alle risorse è complessa e richiede tempo e risorse umane. Abbiamo ancora un approccio troppo formalistico. Forse anche per questo il nuovo Codice dei Contratti (Decreto legislativo 36/2023), mette al primo posto il principio della fiducia: si punta sulla professionalità e serietà dei funzionari pubblici”.

Realizzare il cambiamento richiede flessibilità

“Le politiche pubbliche non sono processi razionali e non sono lineari: per esempio ci sono delle criticità e dei blocchi nella loro comprensione e applicazione. Il DNHS, un approccio top down viene percepito come un ulteriore vincolo e obbligo e non come un modo per dare una soluzione ad un problema collettivo. Pare che tra diversi livelli di governo non ci sia concordanza nella lettura del problema e, di conseguenza, ci sono ordini di priorità non identici tra il livello nazionale e quello locale. IFEL sta lavorando per ridurre queste distanze”, ha sottolineato Federico Sartori.

Ci serve un maggior orientamento agli impatti, dunque, ma anche una maggiore flessibilità perché l’impatto non è un adempimento, ma è piuttosto un modo alternativo di gestire le risorse che richiede una visione non così lineare come quella che abbiamo invece in questo momento.

“Laddove non dovessimo riuscire a mettere a terra i progetti secondo la logica  meccanicistica ideata dal PNRR, dovremmo avere la possibilità di utilizzare i finanziamenti non utilizzati in progetti di co-responsabilità finanziaria con i privati, progetti di cui misurare gli impatti sociali effettivamente realizzati”, ha proposto, concludendo Luigi Corvo L’idea sarebbe quella di creare un “recipiente” complementare nel quale inserire quelle risorse non utilizzate (PNRR e/o altri Fondi) per investirle sulla base degli impatti e quindi pagare gli impatti realizzati in un rapporto trasparente con investitori privati.

Le esperienze delle passate programmazioni, così come quella del PNRR, ci devono servire per orientarci progressivamente sempre di più ad un’azione pubblica che identifica e condivide gli obiettivi di impatto, utilizzando un mix di risorse per remunerare il valore dei risultati effettivamente raggiunti.

L'articolo PNRR, perché vanno calcolati gli impatti sociali (e non lo stiamo facendo) proviene da FPA.

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